La comunità ebraica di Venosa, in Basilicata, era probabilmente una delle tante comunità della diaspora, migrate in Italia dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme per mano dei Romani di Tito.
Nei primi secoli, tra il quarto e il sesto, questa comunità aveva raggiunto anche una certa floridezza economica e poteva permettersi di seppellire i suoi defunti in un cimitero proprio, scavato nel tufo della collina della Maddalena.
Le iscrizioni tombali che leggiamo nelle Catacombe ebraiche di Venosa, scritte in greco, latino ed ebraico attestano l’alto livello di integrazione con la società locale e ci fanno conoscere l’organizzazione comunitaria dell’epoca, con riferimento a cariche e ruoli, ricoperti anche all’esterno del mondo ebraico.
È attestata la presenza dell’archisinagogo (il capo della sinagoga), dei gherusiarchi (i capi degli anziani), degli archiatri (i medici ufficiali), dei didascali (i maestri della Legge) e dei presbiteri (i membri del Consiglio).
Alcuni personaggi sono insigniti del titolo di “patrono della città”, a testimonianza della perfetta integrazione degli ebrei non solo nella società, ma anche nell’amministrazione della città.
Alcune aree presentano iscrizioni e decorazioni ad affresco caratterizzate da simboli della tradizione ebraica.
Emozionante è stata la scoperta di un magnifico arcosolio affrescato, pur se non accessibile.
L’arcosolio ha una lunetta dipinta con il candelabro a sette bracci (menorah), affiancato da un corno (shofar), un’anfora per l’olio, un ramo di palma e un cedro legati alla festa autunnale del Sukkoth; i lati sono affrescati con tralci di rose e ghirlande.
Ingresso delle catacombe